L’avventura di CapCom su Xbox finisce, probabilmente, qui.
Il terzo capitolo sotto il nome Dino Crisis era fra i più attesi in terra nipponica e questo a dispetto della scarsa base installata della console Microsoft in Giappone; c’era l’interesse per le indubbie capacità tecniche della macchina, l’interesse verso una casa capace come CapCom e, soprattutto, l’attenzione verso un brand che ha saputo divertire i propri fan nelle precedenti incarnazioni. Il primo Dino Crisis era figlio diretto della Tecnica di Moltiplicazione del Titolo di cui CapCom è maestra e si presentava come un clone in chiave giurassica di Resident Evil; vero anche che la rapidità dei dinosauri, in luogo dei pigri zombi, offriva scampoli di rinnovata giocabilità. Una trama godibile, delle ottime trovate sceniche e un motore grafico tridimensionale (pur sempre con camera fissa) chiudevano il conto di uno dei best seller disponibili per PSone. Il seguito, sempre su PSone, segnò un curioso dirottamento verso l’attività prettamente distruttiva. Si perdevano per strada buona parte delle componenti enigmistiche e ci si concentrava sull’uccisione di quanti più rettili possibile, con relativa ricompensa pecuniaria da spendere in potenziamenti e armi di distruzione sempre più letali, indispensabili per riportare la razza dei dinosauri a giusta estinzione. Il terzo capitolo segue le tracce del precedente, optando per un approccio blastatorio intervallato da intense fasi di perlustrazione e semplici concessioni all’enigmistica. La risposta del pubblico del Sol Levante è stata però freddina, con un venduto limitato a poche decine di migliaia di copie nei primi giorni di commercializzazione. Colpa di un bacino d’utenza esangue, certamente, ma il prodotto stesso porta colpe imperdonabili e difetti che un gioco di tale richiamo davvero non dovrebbe avere.
Cambio di prospettiva
CapCom, probabilmente conscia del proprio continuo ricorrere al riciclo, cerca subito di spiazzare il giocatore proponendo (come per il prossimo Onimusha 3) un completo cambio di scenario. Se i primi due capitoli prendevano tempo nel vicino futuro, il terzo episodio si ambienta entro i confini fantascientifici resi noti dalla serie di Alien: enormi vascelli spaziali che transitano lentamente nel vuoto siderale, distese di nero spazio ammutolito con solo le stelle a disegnarne un orizzonte infinito. E diciamolo, lo sbalzo contestuale è devastante e piacevolissimo. Un inaspettato cambiamento di rotta che assume contorni inquietanti e claustrofobici dacché i protagonisti si trovano attaccati dalla nave Ozymandias, data per dispersa 300 anni prima e ora rispuntata nell’orbita di Giove. La nave di recupero viene attaccata e distrutta dalla nave coloniale (una vera e propria cittadella spaziale) e l’unica possibilità di sopravvivere è dirigersi, con gli appositi jet pack, verso la minacciosa astronave. Curiosamente, poco è concesso al concretizzarsi della tensione e in un susseguirsi di FMV assistiamo all’apparizione dei primi dinosauri. Indubbiamente la nuova ambientazione offre molte possibilità in termini di innovazione ludo/narrativa ma se la storia possiede indubbiamente del gran fascino, CapCom pare essersi limitata a variare il contorno senza occuparsi molto del contenuto.
Ludicamente, Dino Crisis 3 si mostra povero e sconclusionato. L’inserimento del jet pack richiama subito alla mente quel Gun Valkyrie di Sega (Xbox) che nessuno ricorda benevolmente per la parte giocata. Il jet pack consente di compiere scatti in qualsiasi direzione, di effettuare salti e di planare nel vuoto, il tutto tenendo un occhio alla barra autorigenerante che regola la durata dei propulsori. Oltre a svolgere funzioni di snellimento del backtracking e a partecipare alla fasi platform, il jet pack riveste un’importanza fondamentale nell’azione di combattimento. Ogni scontro si traduce in una sequela di salti, scatti e planate con il dito premuto sul tasto di fuoco e una benedizione recitata all’indirizzo del puntamento automatico. Anzi, un intero rosario dovremmo recitare in lode all’auto aim, senza il quale le sezioni di scontro risulterebbero anche più insensate di quanto già non siano. Ogni combattimento si mostra come un continuo saltellare e schivare a caso, sparando alla cieca e implorando che la camera ci faccia il favore di inquadrare gli avversari. Cosa che, puntualmente, non fa mai. E’ proprio la gestione della camera a segnare il fianco di Dino Crisis 3; sempre legato ad un concept cinematografico, il titolo propone delle riprese fisse indubbiamente utili a instillare tensione e soggezione, ma certamente svantaggiose nel caso in cui le battaglie ricoprano un ruolo così determinante. I frequenti scatti con il jet pack (indispensabili per non essere colpiti dai nemici) provocano continui cambi di ripresa che disorientano il giocatore, tanto che la casualità diventerà presto nostra fedele compagna durante l’avventura. Se la camera virtuale danneggia le battaglie, uccide invece inesorabilmente le fasi platform con cambi a mezz’aria e relativa inversione dei comandi. In effetti è presente, come in Devil May Cry, la possibilità di mantenere una direzione nonostante il cambio di ripresa ma ciò rende improponibili correzioni in volo che, come capirete, sono più volte richieste. Il risultato è un’azione discontinua, troppo spesso dettata dal caso e premiata solo dalla ripetizione ad oltranza. Semplicemente inaccettabile per un titolo di questo calibro e di questa casa.
L’armamentario è solo vagamente vario: tre armi recuperabili durante il gioco con due tipologie di sparo, colpo singolo e colpo caricato (tenendo premuto il pulsante di fuoco si carica l’arma), sono poi disponibili tre diversi tipi di pod che possono essere sganciati e che colpiranno i nostri avversari con i loro attacchi distintivi (raffiche, urto ed esplosione), questi pod sono anche utili per sbloccare alcune porte sigillate con i relativi colori (blu, giallo e rosso). Trattandosi sempre di un derivato del Survival Horror, non possono poi mancare i vari kit di supporto vitale e potenziamenti d’altro tipo.
In richiamo al secondo capitolo, ogni uccisione effettuata carica una barra apposita che può essere scaricata nelle zone di salvataggio recuperando i crediti relativi; questi occorreranno per acquistare equipaggiamenti, incrementare il numero di oggetti trasportabili o aumentare le nostre capacità (resistenza fisica, durata del boost…). Una scelta, quella dei crediti per uccisione, implementata per indurre il giocatore a ingaggiare quanti più combattimenti possibile anziché rifuggirli, nel vano tentativo di mascherare la piattezza del gioco. Purtroppo il tutto si riduce molto presto ad un peregrinare fra le stesse stanze risolvendo semplici enigmi e scansando combattimenti oltremodo snervanti e poco appaganti sotto il profilo estetico (non è Devil May Cry, chiaro…). Una buona trovata viene invece dall’idea di riconfigurare l’assetto dell’astronave; in più occasioni vi sarà chiesto di attivare delle conversioni della nave (spostamenti o rotazioni di intere sezioni), operazioni indispensabili per proseguire e utili per dare un tocco di varietà a percorsi oltremodo ripetitivi. Positive in potenza le sessione all’esterno della nave e quelle in cui si utilizza un altro personaggio, purtroppo sono fasi di gioco brevi e scarsamente approfondite per cui resta (come spesso accade giocando questo titolo) il rammarico dell’incompiuto.
Giurassico!
Semplicemente, Dino Crisis 3 dichiara a più riprese lo scarso impegno profuso da CapCom nel confezionare questo titolo. Se il comparto ludico si macchia di crimini contro il popolo videoludico, anche in senso audio-visivo le cose non si possono dire immacolate. Il primo impatto estetico è dato da FMV ben lontani dalla qualità eccelsa di altre produzioni (Square su tutti, ma anche la stessa CapCom…), i volti appaiono buoni benché poco caratterizzati, ma è nei corpi, nelle giunture e in certe animazioni che si notano vistose imperfezioni. La regia è concitata ma poco ispirata. Ma sono solo FMV. Eppure già da questi si respira un atteggiamento remissivo da parte del team di produzione, quasi fossero consci dello scarso potenziale del titolo. Graficamente Dino Crisis 3 appare di qualità altalenante ma è soprattutto un fastidioso senso di scompostezza a fasi sentire. Dapprima le ambientazioni opprimono giustamente per la loro maestosità, questi cetacei fantascientifici che solcano silenziosi i cieli e noi piccoli sprofondati in stanzoni titanici, con motori alti quanto grattacieli e sale macchina che si estendono per centinaia di metri. Incredibile. Il tutto è ammantato da pareti metalliche ricoperte di riflessi (non in tempo reale), con segnaletiche luminose che galleggiano nell’aria e effetti di luminescenza e di trasparenza spesso notevoli. Davvero impagabile gettare uno sguardo in soggettiva verso l’esterno e scorgere la circonferenza di Giove con il suo occhio rosso che ci osserva muto. Eppure.. eppure a questa magnificenza si affianca un uso estenuante del multipass rendering indispensabile per offrire superfici metalliche, l’effetto è così largamente abusato da saziare subito e non stupire più. Le stanze cominciano ad apparire tutte uguali e i caricamenti, brevi ma non abbastanza, fra i locali appesantiscono il nostro percorso. I nemici sono realizzati in maniera piuttosto buona anche se, ringraziamo la camera virtuale, raramente avremo occasione di vederli. Lamentiamo invece lo scarso bestiario di nemici da affrontare che è ridotto a solo quattro esemplari (di cui due sono semplici varianti del medesimo dinosauro). I boss offrono qualcosa di più, di dimensioni generose ed estremamente particolareggiati nelle scaglie, nei denti e negli artigli, peccato che soprattutto i boss, in virtù della loro letalità, debbano essere scansati il più possibile shiftando e volando di qua e di là con il risultato di poterli osservare bene solo da morti (i loro cadaveri, a differenza dei nemici minori, non scompaiono). I protagonisti sono ben modellati benché le loro animazioni non siano mai particolarmente varie. Su tutto cala impietosa una sensazione di incompleto, di progetto abbandonato (come la nave Ozymandias), di un enorme potenziale lasciato invecchiare. L’impatto estetico colpisce dapprima per le superfici metalliche, ma una volta abituatici tutto appare piatto, terribilmente vuoto e con sale esistenti solo per esigenze ludiche e senza nessuna reale funzione all’interno dell’astronave.
Il comparto audio si mette in mostra per le solite (gradite) funzionalità multicanale offerte da Xbox, anche se i commenti sonori sono abbastanza dimessi o puramente ambientali con una BGM incalzante solo in presenza di nemici.
This is the Countdown to Extintion
Come evolverà dunque la vicenda Dino Crisis? Avremo un altro seguito dopo questo triste episodio? Indubbiamente l’esclusività concessa ad Xbox è un danno ulteriore ad un brand interessante e che al suo primo episodio aveva destato un sincero interesse nel pubblico. Resta ora da vedere come l’utenza occidentale accoglierà questo prodotto e se CapCom, nel periodo che manca per la commercializzazione USA, sarà capace di limare l’imperdonabile comportamento di una telecamera bizzosa e irriverente. Dino Crisis 3 esercita un fascino indiscutibile per l’inusuale ambientazione ma manca completamente il bersaglio sul piano ludico, proponendosi ripetitivo e snervante. La narrazione scorre affascinante e anche nell’edizione nipponica può essere seguita in quanto il parlato è interamente in inglese (occorre però una discreta conoscenza della lingua albionica), le scritte in giapponese ostacolano solo limitatamente la comprensione del titolo e nemmeno rendono più ostici gli enigmi (ormai stereotipati da anni di Survival Horror). Un titolo di cui non possiamo consigliare l’acquisto immediato, vi suggeriamo invece di attendere un’edizione occidentale (sperabilmente corretta e migliorata) e di occhieggiare nel frattempo il mercato dell’usato.
Grafica 7
Sonoro 6.5
Giocabilita 5
Innovazione 5
Longevità 6
Finale 5.5
fonte:gameplus.it
In ognuno di voi c'è un demone.
Fatelo uscire!
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