L’economia curtense
Nell’alto medioevo, quindi prima dell’anno Mille, le proprieta’ terriere appartenevano all’imperatore, al nobile feudatario della zona, oppure al monastero locale, come accadde nel comprensorio, dove la certosa rappresentava il centro socio-economico e culturale di quei paesi.
L’economia ruotava attorno a quelle che noi oggi chiamiamo
“ le corti”, dal latino “curtes”, cioe’ una grande terra.
Ogni terra si suddivideva in tre parti: la terra dominica, appartenente al signorotto o al monastero, la terra colonica, lavorata dai coloni e divisa in varie colture, la terra comune, fatta di campi e pascoli.
La
terra dominica aveva importanza anche dal punto di vista politico, poiché il feudatario doveva salvaguardare questa sua proprieta’ dai rivali, signorotti di zone limitrofe, che volevano estendere i loro domini.
La
terra colonica era composta di
“mansi”, da cui si dice appunto “pars mansaricia”, i quali erano piccoli poderi seminati a grano e vigna, da sempre prodotti tradizionali nel comprensorio.
Su questi territori sorgeranno in seguito le prime botteghe artigiane, che tanta importanza avranno per le tradizioni locali.
La
terra comune, adibita a pascolo, raccolta di legna e di frutta spontanea, era appunto di uso comune, e per usufruirne i contadini dovevano pagare una tassa al signore, diremo oggi, una specie d’affitto del terreno per uso personale in questo o quel periodo dell’anno.
Ogni corte avava una sua autonomia, come il castello e il monastero, ed era autosufficiente.
Ecco perché, quando si parla di economia curtense, ci si riferisce ad una sorta di economia autarchica, lontano ancora dal libero scambio, autogestita -diremo oggi-, in grado di non aver bisogno di altre corti limitrofe.
Solo molto di rado, in occasione di fiere o sagre organizzate una volta all’anno, si veniva a contatto con altre merci ed altre realta’.