QUI COMINCIA LA SVENTURA DEL SIGNOR BONAVENTURA - Sergio Tofano

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vanni-merlin
00lunedì 15 ottobre 2007 00:39

QUI COMINCIA LA SVENTURA DEL SIGNOR BONAVENTURA
Commedia


Pubblicato nel 1927 con lo pseudonimo di Sto, il testo venne poi incluso con altre commedie in Il teatro di Bonaventura.
La prima delle sei commedie di Bonaventura è dedicata a Luigi Almirante, alla cui Compagnia si deve il suo debutto (con musiche di Ermete Liberati), protagonista lo stesso autore, il 17 marzo 1927. Si tratta di «un atto più unico che raro» suddiviso in tre tempi, dalla trama alquanto semplice. La scena si apre sul salotto della «Casa di Mode e Confezioni di Madama Tuberosa», dove Bonaventura lavora in veste di fattorino. All'inizio, la «monumentale» padrona lo sorprende a dormire durante l'orario di lavoro e gli ordina di spazzare per terra. Fa quindi il suo ingresso nel laboratorio «il bellissimo Cecè», un damerino che esibisce di continuo il prezzo dei suoi accessori e che vanta innumerevoli ammiratrici, venuto ad acquistare una «toletta» per la contessa Della Ciambella. All'immediata antipatia di Bonaventura corrisponde il sospiroso incanto della Piccinina, lavorante presso Madama Tuberosa. Lasciato solo, il protagonista dichiara la propria sventura e deplora la «sorte oscura» che ha assegnato a «un'anima sì pura / di spazzar la spazzatura». Poco dopo, si mette a ballare sul motivo di una «polchetta» suonata per la strada; a lui si unisce la Piccinina, che scappa all'arrivo della padrona e si nasconde dentro lo scatolone dei cappelli, ma Bonaventura non se ne avvede. Quando Madama Tuberosa gli comanda di consegnare un cappello alla marchesa Pastasciutta, egli tenta senza risultato, a causa del peso, di sollevare la scatola; tirata dunque con forza, la scatola viene finalmente via e Bonaventura se ne va ignaro che il fondo è rimasto nel salotto, con la Piccinina intenta a spilluzzicare l'uva che guarnisce il cappello. Il primo tempo si chiude con una pantomima messa in scena da Madama Tuberosa e dalle lavoranti, intente a confezionare la toletta per la contessa Della Ciambella; sul manichino viene appuntato di tutto, da una trina a una banana, da un pizzo bianco a una gabbia con canarino.

Nel secondo tempo, la scena rappresenta una via, dove giunge Bonaventura con lo scatolone senza fondo; non riesce a trovare la marchesa Pastasciutta e decide di chiedere informazioni a Paganini, un violinista ambulante dall'«aria di un fantoccio meccanico». Questi non risponde alle sue domande incalzanti, ostinandosi a suonare: segue una scena comica nella quale Bonaventura tenta in tutti i modi di fermare il suonatore, il quale si interrompe soltanto quando gli assesta un colpo sulla tuba. Si scopre infine che è sordomuto. Nel frattempo arrivano le lavoranti e la Piccinina, le quali rincorrono Bonaventura per restituirgli il cappello; tuttavia, giacché non si è accorto di quanto è accaduto alla scatola, Bonaventura perde puntualmente il cappello ogni volta che fa per andarsene, fino a che il violinista non lo nasconde nella palandrana. Entra però in scena di corsa il bassotto di Bonaventura: Paganini si spaventa e scappa ma, alla richiesta del suo padrone, il cane riporta indietro per errore il cilindro del musicista invece del cappello della marchesa. Bonaventura decide di consegnarlo comunque, spacciandolo per l'«Espressione genuina / della moda parigina».

La scena del terzo tempo è la stessa del primo: Bonaventura ritorna al laboratorio affranto perché la marchesa lo ha «buttato per le scale». Temendo l'ira di Madama Tuberosa, si nasconde dietro il manichino su cui è collocato il vestito per la contessa Della Ciambella. Entrano nell'atelier il barone Partecipazio e la baronessa, la quale è subito attratta dalla toletta esposta. Sopraggiungono anche Cecè, la contessa e Madama Tuberosa; la contessa e la baronessa cominciano a contendersi l'abito, mentre Bonaventura fa muovere il manichino per non farsi scoprire dagli astanti. Nel momento in cui la disputa si fa più violenta, il protagonista, sempre nascosto, non riesce a resistere e comincia a ballare sulle note di un violino provenienti da fuori: dapprima svengono la contessa e la baronessa, poi, una volta riavutesi queste, svengono i due uomini. Quando il manichino riattacca la propria danza ancor più frenetica di prima, perdono i sensi tutti e quattro: la Piccinina cerca di fermarlo, ma Bonaventura l'avvinghia; i due escono di scena insieme continuando a volteggiare e portandosi dietro il bassotto. La baronessa e il barone, rinvenuti, fuggono; intanto Bonaventura rientra in scena e inciampa sul bassotto rivelando il trucco. Scoppia una «lunga risata che va crescendo di tono» fino a coinvolgere tutti i presenti, Bonaventura compreso. La contessa, contenta che la baronessa abbia rinunciato al vestito, invita Cecè a ricompensare Bonaventura perché ha messo in fuga i due importuni. Cecè acconsente a malincuore: si limita a stringergli la mano, poi, sollecitato da tutte le donne, passa ad allungargli «una liretta» e da ultimo gli consegna «un foglio bianco grande come un asciugamano sul quale si legge a carattere molto visibile un milone». Tutti festeggiano il dono straordinario, compreso il bassotto, e Bonaventura intravede già una nuova vita: «Non farò più lo sgobbone / né il minchione né il cialtrone, / non più servo ma padrone e padrone d'un milione! ».

Il personaggio di Bonaventura, nato nel 1917 sulle pagine del «Corriere dei piccoli», ha un'identità che lo avvicina a quella di un'autentica maschera, in cui si combinano la «fissità del Pierrot tardoromantico» e lo «sberleffo del teatro futurista» (Paola Pallottino). Il mondo in cui si muove - insieme a personaggi grotteschi e stralunati quanto lui, come Cecè o il violinista, appare governato dal gioco e dalla stravaganza: Bonaventura è infatti un eroe per caso, che riceve un premio decisamente sproporzionato rispetto ai propri meriti, in effetti pressoché inesistenti. La scrittura, dal canto suo, dà fondo a tutto il repertorio dei procedimenti di uso funambolico della lingua: dalla caratteristica rima baciata o alternata, che sfiora cadenze da filastrocca, al gioco di parole, dall'allitterazione alla mescolanza di lessico peculiare del parlato con termini di tradizione aulica. Ne scaturiscono esiti virtuosistici, ai limiti del nonsense, e tale opzione in favore del puro divertimento e del paradosso consente a Tofano di sfuggire del tutto alle insidie - assai consistenti nella produzione letteraria per bambini dell'epoca - dei buoni sentimenti da un lato e della retorica patriottica dall'altro.
La commedia venne subito accolta con caloroso entusiasmo in numerosi teatri d'Italia ed è stata ripresa in seguito più volte, fino ad anni recenti. La prima traduzione integrale è stata allestita in ebraico, in occasione della messinscena al Teatro Municipale di Haifa del 1986. Tuttavia, la fortuna di Bonaventura va ben oltre il teatro e si dovrebbe misurare anche sul notevole favore riscosso, nella forma del fumetto, presso diverse generazioni di lettori, piccoli e grandi.



da: xoomer.alice.it/brdeb/opere/tofano.htm

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