NOI, COME NEI LIBRI

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-Luigino-ilbene-
00giovedì 2 giugno 2005 20:10
NOI, COME NEI LIBRI
C'è una storia di qualche Romanzo che vi ricorda molto un avventura che avete vissuto nei vostri sogni?
Oppure, c'è un personaggio di qualche libro che assomiglia alla persona che state cercando o aspettando disperatamente in questa vita?

[SM=g27817]

[Modificato da -Luigino-ilbene- 02/06/2005 20.11]

(ele)anna82
00giovedì 2 giugno 2005 20:16
Oddio, non sono pronta per 'sti quesiti
ongii
00giovedì 2 giugno 2005 20:19
oggi scrivo gioco mi diverto.

probably aspetto Alesa Karamazov, dopo che Ivan, suo fratello maggiore gli ha raccontato dell'Inquisitore.

Semplicemente perchè vorrei che poi lo raccontasse a me.

La prima domanda non è facile.
CorContritumQuasiCinis
00giovedì 2 giugno 2005 20:31
... alla Samuel Beckett


Come Vladimiro ed Estragone, attendo sotto l'albero l'arrivo di Godot!

Di accordo con Ongii: la prima è estremamente difficile... e "molto pericolosa"!
FedeCina
00venerdì 3 giugno 2005 13:18
Anche io sto aspettando Godot...ho capito che lo stavo aspettando dalla prima volta che ho letto quest'opera, solo che non sapevo dargli un nome...[SM=g27829]
)mozzill'o re(
00venerdì 3 giugno 2005 17:04

___il personaggio che aspetto_______________________

la Fata dai Capelli Turchini:

bella, buona e....esaudisce i desideri !!!!!


____________________________________________________________


la mia vita come il mio libro più bello:

spero di doverlo ancora leggere !!!!!



Scritto da: -Luigino-ilbene- 02/06/2005 20.10

Oppure, c'è un personaggio di qualche libro che assomiglia alla persona che state cercando o aspettando disperatamente in questa vita?

[SM=g27817]

[Modificato da -Luigino-ilbene- 02/06/2005 20.11]





NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!

Luigino, Luigino....


"cercando o aspettando DISPERATAMENTE".....miodddiooooo!!!!!!!!!!



_____________________VOGLIO CIò CHE MI SPETTA LO VOGLIO PERCHE' MIO M ASPETTA____






[Modificato da )mozzill'o re( 03/06/2005 17.13]

mant(r)a
00giovedì 21 luglio 2005 13:42
"Non lamentarti," disse Teresa a mio nonno, "le cose accadono quando è tempo che accadano..." "Lo so," rispose Alessandro, "quando si ha fede, tutto è a fin di bene." "Allora seguimi, ho una sorpresa per te."


[Modificato da mant(r)a 21/07/2005 13.42]

Nadiuska
00venerdì 22 luglio 2005 15:28
"...Certi accenti di quel colloquio echeggiarono nell'anima sua come il suono delle campane nel deserto;lungi,lungi,percorsero spazi vuoti enormi,li misurarono,riempiendoli improvvisamente tutti,rendendoli sensibili,distribuendovi abbondantemente gioia e dolore.Lungamente ella tacque..."
mant(r)a
00martedì 6 novembre 2007 22:00
- Se sapessi disegnare, m'applicherei solamente a studiare la forma degli oggetti inanimati, - dissi con una certa perentorietà, perché volevo cambiar discorso e anche perché davvero un'inclinazione naturale mi porta a riconoscere i miei stati d'animo nell'immobile sofferenza delle cose.

e

è la mia immagine che voglio moltiplicare, ma non per narcisismo o megalomania come si potrebbe facilmente credere: al contrario, per nascondere, in mezzo a tanti fantasmi illusori di me stesso, il vero io che li fa muovere.



da Se una notte d'inverno un viaggiatore, di Italo Calvino.
IoAnnarella
00mercoledì 7 novembre 2007 13:34
Calvino contro Pessoa
mant(r)a, 06/11/2007 22.00:

-
è la mia immagine che voglio moltiplicare, ma non per narcisismo o megalomania come si potrebbe facilmente credere: al contrario, per nascondere, in mezzo a tanti fantasmi illusori di me stesso, il vero io che li fa muovere.


da Se una notte d'inverno un viaggiatore, di Italo Calvino.



Nella mia stanza al lavoro c'è un poster di Italo Calvino sorridente in bicicletta sulla parete opposta alla finestra.
Mi volto verso di "lui" di tanto in tanto, perdendomi con lo sguardo, come se guardassi, invece, fuori dalla finestra in un giorno di sole. E mi fa bene farlo.
Domenica sera, inseguendo dei pensieri, ho cercato domande alle mie risposte in due libri: Se una notte d'inverno un viaggiatore e Il poeta è un fingitore.
Non so perché li ho associati.
La risposta è, forse in quella frase che hai citato.
E in questa:

Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di se stesso.

Buffo, no?
IoAnnarella
00mercoledì 7 novembre 2007 14:24
ancora Pessoa
Ho creato in me varie personalità. Creo costantemente personalità. Ogni mio sogno, appena lo comincio a sognare, è incarnato in un'altra persona che inizia a sognarlo, e non sono io.
Per creare, mi sono distrutto; mi sono così esteriorizzato dentro di me che dentro di me non esisto se non esteriormente. Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi.

IoAnnarella
00venerdì 9 novembre 2007 14:51
Dell'importanza delle parole:
"Un'agitazione dolorosa martellava di nuovo i suoi minuti scarni: i vecchi e frusti minuti! pieni solo d'un batticuore".

da La cognizione del dolore di C.E.Gadda

ascoltando Jeff Buckley - Lilac wine
CorContritumQuasiCinis
00mercoledì 14 novembre 2007 15:34
Contiene "I Miei Nonni" ... ai quali rendo onore.




_______________________________________



Nostro padre si decise per il gorgo, e in tutta la nostra grossa famiglia soltanto io lo capii, che avevo nove anni ed ero l’ultimo.
In quel tempo stavamo ancora tutti insieme, salvo Eugenio che era via a far la guerra d’Abissinia. Quando nostra sorella penultima si ammala. Mandammo per il medico di Niella e alla seconda visita disse che non ce ne capiva niente; chiamammo il medico di Murazzano ed anche lui non le conosceva il male; venne quello di Feisoglio e tutt’e tre dissero che la malattia era al di sopra della loro scienza.
Deperivamo anche noi accanto a lei, e la sua febbre ci scaldava come un braciere, quando ci chinavamo su di lei per cercar di capire a che punto era. Fra quello che soffriva e le spese, nostra madre arrivò a comandarci di pregare il Signore che ce la portasse via; ma lei durava, solo piú grossa un dito e lamentandosi sempre come un’agnella.
Come se non bastasse, si aggiunse il batticuore per Eugenio, dal quale non ricevevamo piú posta. Tutte le mattine correvo in canonica a farmi dire dal parroco cosa c’era sulla prima pagina del giornale, e tornavo a casa a raccontare che erano in corso coi mori le piú grandi battaglie. Cominciammo a recitare il rosario anche per lui, tutte le sere, con la testa tra le mani.
Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce ordinaria:
- Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che m’hanno preso la pioggia. -
Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì, guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli. Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se facessi tutto da me.

Gli uscii dietro che lui, pigliato il forcone, cominciava a scender dall’aia. Mi misi per il suo sentiero, ma mi staccava a solo camminare, e così dovetti buttarmi a una mezza corsa. Mi sentí, mi riconobbe dal peso del passo, ma non si voltò e mi disse di tornarmene a casa, con una voce rauca ma di scarso comando. Non gli ubbidii. Allora, venti passi piú sotto, mi ripeté di tornarmene su ma stavolta con la voce che metteva coi miei fratelli piú grandi, quando si azzardavano a contraddirlo in qualcosa .
Mi spaventò, ma non mi fermai. Lui si lasciò raggiungere e quando mi sentí al suo fianco con una mano mi fece girare come una trottola e poi mi sparò un calcio dietro che mi sbatté tre passi su.
Mi rialzai e di nuovo dietro. Ma adesso ero piú sicuro che ce l’avrei fatta ad impedirglielo, e mi venne da urlare verso casa, ma ne eravamo già troppo lontani. Avessi visto un uomo lí intorno, mi sarei lasciato andare a pregarlo: “Voi, per carità, parlate a mio padre. Ditegli qualcosa”, ma non vedevo una testa d’uomo, in tutta la conca.
Eravamo quasi in piano, dove si sentiva già chiara l’acqua di Belbo correre tra le canne. A questo punto lui si voltò, si scese il forcone dalla spalla e cominciò a mostrarmelo come si fa con le bestie feroci. Non posso dire che faccia avesse, perché guardavo solo i denti del forcone che mi ballavano a tre dita dal petto, e sopratutto perché non mi sentivo di alzargli gli occhi in faccia, per la vergogna di vederlo come nudo.
Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lí, dietro un fitto di felci, e la sua acqua ferma sembrava la pelle d’un serpente. Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell’attimo lui ficcò il forcone nella prima fascina. E le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l’ebbe voltate tutte tirò un sospiro tale che si allungò d’un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da una festa con una sbronza fina.
Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo.

IL GORGO - di Beppe Fenoglio
(Da: Altri racconti, Einaudi Pleiade, Opere, 1993)

mant(r)a
00mercoledì 18 marzo 2009 10:35
Qualche volta.


Da quando non riuscivo più a dormire, mi rendevo conto di quanto fosse banale la realtà. Di quanto fosse facile manovrarla. Era soltanto la realtà. Erano soltanto le pulizie di casa, soltanto una famiglia. Era come manovrare un semplice macchinario, una volta che si impara come farlo funzionare, poi basta solo ripetere gli stessi gesti. Schiacciare questo bottone, tirare quella leva. Regolare i gradi, chiudere il coperchio, predisporre il timer. Semplice routine.
Ovviamente ogni tanto c’era qualche cambiamento. Veniva mia suocera e cenava con noi. la domenica andavamo tutti insieme allo zoo. Mio figlio ebbe una terribile diarrea.
Tuttavia nessuno di quegli avvenimenti riusciva a scuotermi. Come un vento silenzioso mi passavano intorno e se ne andavano. Parlavo del più e del meno con mia suocera, preparavo la cena per quattro, scattavo una fotografia davanti alla gabbia dell’orso, tenevo al caldo la pancia di mio figlio, gli facevo prendere la medicina.
Nessuno si accorse del mio cambiamento. Vivevo senza dormire, leggevo uno dopo l’altro libri su libri, la mia mente si trovava a centinaia d’anni e centinaia di chilometri dalla realtà, ma nessuno vi faceva caso. Mi occupavo degli avvenimenti reali come di un dovere, senza metterci il minimo affetto o la minima emozione, eppure mio marito, mio figlio e mia suocera avevano nei miei confronti lo stesso comportamento. Anzi, sembravano ancora più a loro agio di prima in mia presenza.
Passò in quel modo una settimana.


da L'elefante scomparso ed altri racconti, Murakami Haruki.
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