Le adozioni a distanza e il "colonialismo del cuore"

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vanni-merlin
00domenica 2 luglio 2006 18:10
Le adozioni a distanza
e il "colonialismo del cuore"



"Aiutiamoli a casa loro". E' una delle frasi ricorrenti quando si parla d'immigrazione. Viene utilizzata in contesti e con significati diversi, anche opposti. A volte è imparentata con la nota locuzione ipocrita: "Io non sono razzista, però...". Altre volte è l'enunciazione di un ovvio principio di solidarietà. Altre volte ancora, come nel caso delle "adozioni a distanza", è una pratica, un gesto concreto.

Leggendo un libro uscito da qualche giorno, "Il sorriso del cuore", di Paolo Aragona (Edizioni Newton Compton) si fa una scoperta: a volte l'aiutare a casa loro è molto più difficile che accogliere. Ne consigliamo la lettura a chi utilizza il concetto dell'aiutare a domicilio per ingentilire discorsi e programmi sostanzialmente xenofobi. Ma anche a chi, con generosa superficialità, assume, senza averne le forze, impegni che richiedono costanza e fatica.

"Il sorriso del cuore" è la storia di Carlo e Francesca, una coppia di italiani che adotta a distanza una bambina del Malawi. La decisione nasce in modo quasi casuale, dopo un discorso di Carlo con un collega d'ufficio che racconta di aver mantenuto agli studi un ragazzo africano. Così i due coniugi si presentano nella sede di un'organizzazione missionaria e sfogliano il book con le schede dei candidati all'adozione. Inizialmente Francesca vorrebbe affidare la scelta al responsabile del centro. Ma poi resta colpita dal viso di Ester. Gli occhi le ricordano quelli di sua figlia. L'ha persa trent'anni prima, quando aveva tre anni.

Carlo e Francesca assumono l'impegno, inviano regolarmente la somma per il mantenimento della bambina, si tengono informati sulla sua vita.

Sono passati sei mesi quando, per la prima volta, la vedono in un filmato realizzato dai missionari. La decisione di incontrarla è immediata. Si uniscono a una piccola comitiva di genitori a distanza e raggiungono il Malawi. Conoscono la bambina. Una bambina speciale: ha appena otto anni ma idee molto chiare sul proprio futuro. Intenerendoli fino alle lacrime, Ester rivela a Carlo e Francesca che il suo desiderio più grande è diventare medico e combattere l'Aids, la malattia che ha ucciso i suoi genitori naturali. Vuole venire a studiare in Italia. Lo chiede in modo esplicito.

Ed è qui che la complessità dell'aiutarli a casa loro emerge in modo lacerante. Il primo pensiero di Carlo e Francesca è di partire per l'Italia con Ester. Sarebbe un modo per aiutarla e anche per dare un nuovo senso alla vita, o forse di ritrovare quello che cercavano dal giorno in cui avevano perso la loro bambina. Comunicano la decisione al capo della missione il quale li invita a riflettere su due circostanze. Intanto Ester non è una bambina sola, ha zii, zie e cugini: il concetto africano di famiglia è, infatti, molto più esteso del nostro. Inoltre, se venisse in Italia a soli otto anni, difficilmente tornerebbe nel suo paese da grande. In definitiva, portarla in Italia sarebbe togliere una risorsa e una speranza al mondo in cui Ester è nata e, in un certo senso, tradire il suo sogno. Tanto più che con l'aiuto di Carlo e Francesca potrà studiare medicina nel suo paese.

Alla fine i due genitori a distanza decidono di restare tali. Rinunciano alla presenza di un nuovo affetto per dare a Ester e al suo mondo una possibilità in più per il futuro. Continueranno ad aiutarla "a casa sua" e sarà più faticoso e complicato che averla a casa loro. La loro scelta è una piccola vittoria contro una nuova forma di colonialismo che Paolo Aragona definisce efficacemente "Il colonialismo del cuore".

(glialtrinoi@repubblica. it)

(2 luglio 2006)

da: www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/adozioni-distanza/adozioni-dista...

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