Julia n° 77 - Minaccia a domicilio
Anche questa lettera, tratta dalla posta di "Julia", mi sembra particolarmente interessante.
"Gentile signor Berardi, sono un avvocato, lettore di Julia, di cui apprezzo le storie, i disegni, l'approfondimento, benchè non sempre mi senta in linea con quello che Julia (e quindi...Berardi) pensano su molti argomenti.
Ma non è di questo che Le voglio scrivere. Desidero fermarmi ad osservare con Lei la figura e il ruolo dell'avvocato. A parte in un episodio (il n° 62, credo)(*), i mei colleghi (americani, ma sempre avvocati) nei suoi racconti fanno sempre una pessima figura: corrotti e cavillosi al limite della scorrettezza. Forse perchè la mia professione mi piace e penso che esercitarla con passione sia svolgere, da privato, un vero e proprio servizio pubblico, ritengo riduttiva l'immagine che ne deriva dalle Sue pur bellissime storie.
L'avvocato svolge un servizio anche quando difende un colpevole (il quale ha diritto a un processo giusto, in cui siano rispettate tutte le garanzie poste a sua difesa) e non è molto verosimile che in Julia gli avvocati dei colpevoli sembrino quasi sempre un ostacolo all'accertamento della verità.
Chissà se potrò una leggere una storia in cui un mio collega, difensore di un delinquente, pur senza tradire il mandato ricevuto dal suo assistito, collabora comunque ad una corretta gestione delle indagini e alla
scoperta del colpevole?
Non sono nè offeso nè indignato, chiarisco. Anzi, spero che Lei prenda la mia come una provocazione a scrivere una storia non facile, perchè riconosco che gli avvocatacci che Lei di solito descrive esistono ecome e non sono pochi.
Ciò che credo è che non siano la maggioranza. La maggior parte di noi lavora per tutelare i diritti dei cittadini e per mantenere intatta la loro dignità.
Cordialità (come concludono, spesso, nelle lettere che si scambiano, gli avvocati)."
(Lettera firmata)
Così risponde Berardi:
"Gentile Signor xxxxxxxx, non mi ha mai sfiorato l'idea che i miei lettori debbano condividere i miei pensieri. Non mi considero un depositario della verità, nè un
maitre à penser. Cerco solo di divertire il pubblico in modo non banale, offrendo qualche spunto di riflessione.
Io stesso leggo storie avventurose, dall'età di cinque anni, anche quando sottendono atteggiamenti reazionari, che non condivido. Mi prendo il divertimento, senza sposare l'ideologia, semplicemente.
Ma non è su questo che Le voglio rispondere. Desidero fermarmi ad osservare con Lei la figura e il ruolo del narratore.
Da un pò di anni è in voga il cosiddetto
politically correct, che, nel tentativo di codificare il concetto cristiano di
rispetta il prossimo tuo, è riuscito ad innalzare a vette parossistiche la suscettibilità di ogni essere vivente - e non - sulla Terra. Ci sono comitati in difesa di qualsiasi categoria: dai fossili ai tabagisti, ai cacciatori, ai rettili, alle più svariate professioni (eccetto quella dello scrittore). Se, in un mio racconto, inserisco una figura omosessuale, vengo tacciato di omofobia, se si tratta di un politico, di anarchia, se invece è un nero, di razzismo; per non parlare dei medici, dei giornalisti, dei commercialisti....degli avvocati.
Ora, Signor xxxxxxxx, le storie sono fatte di personaggi e i personaggi, per essere credibili, devono svolgere un mestiere. Fino a poco tempo fa, le uniche tipologie che non reclamavano erano i pellerossa e gli alieni. Ora, però, si è saputo che i Sioux Oglala hanno chiesto i diritti ad un noto locale parigino per l'uso del nome "Crazy Horse". Restano i marziani, e questo forse spiega il grande sviluppo della fantascienza.
Non ho dubbi che ci siano avvocati onesti e disonesti, come esistono elettricisti coscienziosi e malandrini. E' altrettanto vero, tuttavia, che un leguleio corrotto fa più danni di un impianto elettrico fuori norma. Basta scorrere le cronache.
Mi viene in mente Alessandro Manzoni. Oggi gli sarebbe stato difficile scrivere i
Promessi Sposi. Il suo
Azzeccagarbugli avrebbe sollevato il disdegno di tutto l'albo professionale; e anche l'
Innominato avrebbe trovato qualcuno disposto a difenderne l'onorabilità.
Ma, al di là delle
boutades,
il rischio concreto è che, piano piano, tutti coloro che desiderano esprimere un pensiero, un'opinione, un'idea, vengano guardati con sospetto. Lentamente, per non avere discussioni, problemi, o denunce, la gente si abituerà al silenzio (la sottolineatura è mia, per evidenziare il concetto - Tidus).
Una sordina intellettuale che sta già invadendo la cultura italiana.
Ha da passà 'a nuttata (come conclude Eduardo De Filippo in
Napoli Milionaria)"
Giancarlo Berardi
(*) Il numero 62 è "L'assassino è innocente"
[Modificato da Tidus forever 07/02/2005 14.20]