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VII di Pasqua

Ultimo Aggiornamento: 23/05/2009 22:35
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23/05/2009 22:26
 
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Messa vigiliare della Domenica dopo l'Ascensione - VII di Pasqua

VANGELO DELLA RISURREZIONE
Annuncio della Risurrezione del Signore Nostro Gesù Cristo secondo Giovanni 20, 1-8


Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.
Cristo Signore è risorto! Alleluia, alleluia!


 
 Domenica dopo l'Ascensione - VII di Pasqua

LETTURA
Lettura degli Atti degli Apostoli 1, 15-26

In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli – il numero delle persone radunate era di circa centoventi – e disse: «Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. La cosa è divenuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue”. Sta scritto infatti nel libro dei Salmi: / “La sua dimora diventi deserta / e nessuno vi abiti, / e il suo incarico lo prenda un altro”. Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione». Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava». Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

SALMO
Sal 138

® Signore, tu conosci tutte le mie vie.
oppure ® Alleluia, alleluia, alleluia.

Signore, tu mi scruti e mi conosci,
ti sono note tutte le mie vie.
Sei tu che hai formato i miei reni
e mi hai tessuto nel grembo di mia madre. ®

Io ti rendo grazie:
hai fatto di me una meraviglia stupenda;
meravigliose sono le tue opere,
le riconosce pienamente l’anima mia. ®

Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
ricamato nelle profondità della terra. ®

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi;
erano tutti scritti nel tuo libro
i giorni che furono fissati
quando ancora non ne esisteva uno. ®

Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio!
Se volessi contarli, sono più della sabbia.
Mi risveglio e sono ancora con te. ®

EPISTOLA
Prima lettera di san Paolo apostolo a Timòteo 3, 14-16

Carissimo, ti scrivo tutto questo nella speranza di venire presto da te; ma se dovessi tardare, voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità. Non vi è alcun dubbio che grande è il mistero della vera religiosità: / egli fu manifestato in carne umana / e riconosciuto giusto nello Spirito, / fu visto dagli angeli / e annunciato fra le genti, / fu creduto nel mondo / ed elevato nella gloria.

VANGELO
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 17, 11-19


In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Padre, io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità».
23/05/2009 22:35
 
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Commento al Vangelo del 24 maggio
Il cielo dimora di Dio?
VII Domenica di Pasqua
22.05.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


Forse è facile sorridere quando ascoltiamo il racconto dell'Ascensione di Gesù al cielo, come un volo nello spazio, come un palloncino o l'aquilone che sfuggito alla mano di un bambino si perde a poco a poco nelle nuvole. Certo, per gli antichi che non avevano alcuna approfondita conoscenza dello spazio risultava facile situare in alto, nei cieli, la dimora di Dio. Oggi le conoscenze che abbiamo della natura ci impediscono di ritenere il cielo come la residenza privilegiata di Dio. Ricordo quando il cosmonauta sovietico Gagarin rientrò dal primo viaggio nello spazio, dichiarò di non aver incontrato Dio nei cieli. Il cielo sarebbe disperatamente vuoto. Lasciamoci istruire dal simbolo dell'Ascensione. Questa immagine spaziale, salire al cielo, andare in alto, indica anzitutto l'esaltazione del Signore Gesù. Quest'uomo che ha vissuto fino in fondo la nostra condizione umana, discendendo dal cielo per incarnarsi nella nostra umanità, quest'uomo che ha lavorato con mani d'uomo, amato con cuore d'uomo, quest'uomo che ha sofferto ed è stato messo a morte è ora esaltato, portato in alto alla destra del Padre, perché tutti riconoscano in lui il vertice dell'intera umanità. Nella seconda lettura Paolo lo afferma con chiarezza: «Ma che cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra?».

Albero bello e splendente

L’Ascensione è solo la traccia visibile di una realtà ben più grande: Cristo è il vertice - in alto appunto - della storia umana. L’Ascensione è come il compimento, la verità della passione e della croce. E infatti l'evangelista Giovanni per indicare la crocifissione adopera un verbo singolare: il verbo elevare, innalzare. Gesù stesso così annuncia la sua morte imminente: «Quando sarò elevato-innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32). L'elevazione da terra sul patibolo della croce è innalzamento, glorificazione. Il patibolo è addirittura cantato come «albero bello e splendente». Una volta Gesù, sempre alludendo alla sua morte, aveva detto: «Se il chicco di grano, caduto in terra, muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). L'Ascensione esprime visibilmente questa certezza: solo chi dà la sua vita, chi la perde, chi si abbassa, chi scende nei solchi bui della sofferenza umana, sarà elevato, innalzato, sarà principio di salvezza. Chi discende, nella logica del condividere, del perdersi dentro…, chi non teme di abbassarsi in un movimento di partecipazione con chi è al fondo; questi solo ascende ed è l'innalzato. L'ascensione è la risposta luminosa al più oscuro discendere.

L’approdo definitivo

Gesù, leggiamo nel testo odierno, «veniva portato su, in cielo» (24,50). Il cielo, non la terra è l'ultimo approdo della vita di Gesù, il cielo è anche il nostro ultimo, definitivo approdo. Eppure noi amiamo appassionatamente la terra, la abitiamo, la trasformiamo. Sempre più spesso, purtroppo, la deturpiamo e sfruttiamo. Eppure la terra non è la nostra ultima e definitiva dimora. La abitiamo provvisoriamente, anche se giorno dopo giorno in essa affondiamo le nostre sempre più tenaci radici. Per molti questa certezza è sorgente di tristezza e anche disperazione. Dobbiamo apprendere a coltivare e custodire la terra sapendo che non è la nostra definitiva abitazione, che non è cosa nostra: sarà dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, noi siamo solo inquilini provvisori. Siamo tutti dei clandestini su questa terra e non solo quei poveri disperati che ricacciamo nei loro paesi. Infine il simbolo dell'ascensione il gesto dell'uomo che in piedi volge lo sguardo al cielo racchiude una verità profonda. Guardare in alto, verso il cielo è l'espressione di un desiderio, di un bisogno: non a caso questo gesto istintivo si manifesta soprattutto nei momenti di difficoltà, quando il chiuso orizzonte immediato non basta. L'uomo è se stesso solo de-centrandosi. L'uomo è se stesso solo uscendo da sé per andare verso il mondo, verso gli altri, per andare alla ricerca di una ragione e di un significato per la sua esistenza. E' nell'apertura e nel dono all'altro - esperienza dell'amicizia e dell'amore - che il mio io trova la sua piena realizzazione. Ha scritto un filosofo contemporaneo, Ernst Bloch: «Senza le strade interiori dell'anima non si riesce a percorrere, eretti e con dignità, le strade esteriori del mondo». Ha scritto il nostro sant'Ambrogio: «Dove è la fede lì è la libertà». E' questa libertà il dono della Pasqua: essere diritti, non più piegati verso la terra, ma secondo la stupenda espressione del profeta Osea, «chiamati a guardare in alto» (11,7).
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