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Le boiate pazzesche del "cattolico" Olmi

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    Anam_cara
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    00 08/09/2011 17:59
    Le boiate pazzesche del "cattolico" Olmi

    di Mario Palmaro
    08-09-2011



    La Chiesa dovrebbe essere una casa che accoglie, non deve domandare se una persona è credente o no. I cattolici dovrebbero ricordarsi di essere cristiani.
    Non bisogna inginocchiarsi davanti al crocifisso, che è solo un simulacro di cartone, ma verso chi soffre come gli extracomunitari”.


    A parlare è Ermanno Olmi, soi disant regista cattolico, che in questi giorni è al Festival del Cinema di Venezia per presentare il suo film Il Villaggio di cartone.

    Le farneticazioni di Olmi potrebbero anche lasciarci indifferenti, considerato che il mondo moderno ci ha fatto sviluppare una considerevole quantità di pelo sullo stomaco, e siamo abituati a sentirne davvero di tutti i colori, quando c’è da sparlare della Chiesa cattolica.

    Ovviamente, guai se l’oggetto delle offese fosse una religione diversa: si scatenerebbe un putiferio.
    Ma tirare un po’ di fango su Roma e sul Papa è uno sport sempre apprezzato. Così è successo anche a Olmi, che è stato accolto da uno stuolo di critici pronti a sviolinarlo per il suo “film-capolavoro””, che in verità Francesco Borgonovo su Libero ha paragonato alla mitica Corazzata Potemkin di fantozziana memoria.
    Dicevamo che si potrebbe lasciar perdere, e buona notte, se non fosse che il nostro uomo è un accreditatissimo uomo-di-cultura-cattolico.

    Dici Olmi, e nelle parrocchie e nei cinema parrocchiali, negli oratori e nei centri culturali cattolici è tutto un compiaciuto annuire di capoccioni pensierosi e plaudenti: “Eh, Olmi, che regista! E che cattolico! E che film di denuncia!” E così via celebrando.

    Questo è, purtroppo, il problema: che nel mondo cattolico si considerino batteriologicamente pure delle sorgenti inquinatissime, per nulla potabili, dalle quali sarebbe molto meglio stare alla larga.

    Olmi è padrone di continuare
    a fare i suoi film, che tanto non vede praticamente nessuno.
    Ed è anche padrone di dire le sciocchezze che ha inanellato nei giorni scorsi. L’importante è che non pretenda di parlare “da cattolico”.

    Perché uno che invita
    a non inginocchiarsi davanti al crocifisso, definendolo “simulacro di cartone” (sic) cattolico non lo è affatto.

    In quelle parole non c’è solo dabbenaggine, ma anche livorosa malevolenza e inquietante compiacimento per la provocazione blasfema. Ma c’è dell’altro.

    Il film di Olmi
    è a suo modo un perfetto manifesto di quel cattolicesimo suicidato” che si dissolve nel solidarismo e nell’ossessione del primato degli ultimi.

    Vi si racconta infatti di una chiesa che viene sconsacrata, e del vecchio parroco che – superato il primo sconcerto – la trasforma in un luogo di accoglienza per immigrati.
    Invece che adorare Dio che si fa uomo in Gesù Cristo crocifisso, la “chiesa” di Olmi si mette ad adorare l’uomo che si fa dio, togliendo di mezzo Cristo e il mistero dell’incarnazione.

    E’ l’umanesimo
    ateo che soppianta il cattolicesimo, è l’attivismo per i più poveri che rimpiazza la preghiera, è il relativismo della volontà che rimpiazza il realismo della verità.
    E infatti il regista-predicatore, determinato a cantarle soavi ai cattolici papisti, rincara la dose, dicendo che non possiamo avere solo certezze; ognuna di esse è una ferita che portiamo alla fede. Il peso dei dubbi deve essere superiore alla stessa fede”.

    Forse nemmeno
    Odifreddi, Severino, Galimberti e Cacciari, schierati insieme a coorte, avrebbero saputo dir meglio qualche cosa di così totalmente non cattolico e, insieme, di così desolatamente banale.

    Sarebbe poi una buona cosa che d’ora in avanti di immigrazione parlassero solo le persone comuni: quelle che vivono gomito a gomito con gli extracomunitari, fanno la spesa nel quartiere, vanno al lavoro in autobus; insomma, solo quelle persone che non fanno i registi, o i critici cinematografici, vivendo magari ai Parioli o in qualche quartiere superlusso dove l’unico immigrato è la colf.
    O, vista l’età di certi cineasti, la badante moldava.
     
    FONTE:
    http://labussolaquotidiana.it/ita/articoli-le-boiate-pazzeschedel-cattolico-olmi-2957.htm


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    maxis35
    Post: 228
    Post: 222
    00 16/09/2011 09:02
    Come la penso io ...
    OLMI: “La Chiesa dovrebbe essere una casa che accoglie, non deve domandare se una persona è credente o no. I cattolici dovrebbero ricordarsi di essere cristiani. Non bisogna inginocchiarsi davanti al crocifisso, che è solo un simulacro di cartone, ma verso chi soffre come gli extracomunitari”.
    IO: Concordo in linea di massima anche se espresso molto male, la frase "non bisogna ...etc." andrebbe riscritta così: Non basta inginocchiarsi davanti al croce che rappresenta il Signore, bensì occorre inginocchiarsi davanti al Cristo in croce, che è il sofferente, ivi compreso l'extracomunitario. infatti dice 
    GESU' : Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
    IO:non dice "ero rappresentato nel crocifisso in chiesa e tu sei venuto ad inginnocchiarti." allora i migranti prima li fai sbarcare,poi li vesti,poi gli dai da mangiare, poi vai davanti al crocifisso e ti inginocchi ma non per rendere omaggio a un simbolo, ma per entrare in un dialogo confidente col Signore Gesù, e dirgli " forse non ho fatto proprio tutto ciò che Tu mi chiedi, ma io c'ho provato, nei migranti ho visto Te, forestiero, nudo, affamato, in questo crocifisso vedo solo il ricordo di Te sulla croce a soli 33 anni. max
    [Modificato da maxis35 16/09/2011 09:10]
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    maxis35
    Post: 228
    Post: 222
    00 07/10/2011 08:59
    Recensioni
    Il villaggio di cartone
    Dalla Lectio divina all'Esperanto spirituale: tra migranti e istituzioni, il cinema-vita di Ermanno Olmi


    I migranti come gli umani, le istituzioni come gli zombie. Non è un horror – almeno, per genere di riferimento: ma la nostra realtà? – ma il nuovo Ermanno Olmi, che fa de Il villaggio di cartone uno dei tanti villaggi alla periferia del villaggio globale. E, insieme, un villaggio protocristiano, che ricorda come il Tempio sia conseguenza necessaria dell’annuncio e della comunità, e non condizione necessaria e sufficiente di una comunità. Al bando, dunque, la reificazione, maledetta l’istituzione: se c’è la comunità, se ci sono le genti, già la loro natura è il Tempio, e il cartone basta e avanza per edificarlo.
    Accerchiati, dunque, in una chiesa sfitta di nome (via dagli orpelli, via dalla simonia...) ma non di fatto, i migranti sentono gli elicotteri, vedono le luci blu, avvertono le sagome inquietanti del Sistema, ma sono al sicuro. Perché non c’è più il crocefisso, ma Dio c’è. E c’è il vecchio prete (Michael Lonsdale), che in quella chiesa è nato e cresciuto e ora la vede trasformarsi ne Il villaggio di cartone, il cartone che ripara, scalda l’umanità. “Viceversa, c’è un altro cartone, quello della realtà virtuale, del villaggio globale”, ha detto il maestro Olmi, fresco 80enne, già fuori concorso alla Mostra di Venezia e ora in sala con Michael Lonsdale, il sacrestano delatore Rutger Hauer (che ritrova 23 anni dopo La leggenda del santo bevitore), Alessandro Haber, Massimo De Francovich e tanti migranti.
    Migranti clandestini, ma l’accoglienza – sostiene Olmi - non conosce passaporto: l’accoglienza cristiana (ancor prima e più che cattolica), cui piega senza sforzi e con fin troppa generosità illustrativa la cifra poetico-stilistica: immagini pittoriche (Caravaggio, of course) ad alto voltaggio simbolico, il potere alla Parola (al limite del didascalico e dalle parti dell’affabulatorio) e una vigorosa tensione umanista, che tra istituzione e fede non ha dubbi, tra decorare e dire non ha tentennamenti.
    Perché il messaggio è fin troppo evidente, ma il regista non se ne cruccia: l’art pour l’art non gli interessa, dalle conversazioni con Magris e Ravasi discende un cinema vantaggiosamente prestato al teatro, un Presepe vivente eterodosso e animato qui e ora, con la materia di cui sono fatti i sogni e gli incubi del fu Bel Paese.
    Il villaggio di cartone, dunque, è la possibilità di un’isola, l’isola che – Italia oggi – non c’è: diritto di cittadinanza? No, dovere di umanità, il nostro comune denominatore, senza impronte né epidermiche tavolozze.
    Sì, Olmi è umano, troppo umano, il suo Cristo – niccianamente? - pratica di vita, il suo “dobbiamo abbattere le Chiese” un memento di esegesi, perché se il saggio Salomone costruì il Tempio finì per perdersi nell’idolatria, ovvero un’altra declinazione della ricchezza che può divenire “un crimine”. Non bisogna, dunque, avere timore, nemmeno di semplificare la realtà per una supposta e buonista Grazia ricevuta: nel Villaggio non abita il volemose bene, perché la realtà non esce mai di campo, nelle sue disforie e nelle sue – altrove inconfessabili – aporie. Vi immaginate un film “dalla parte giusta” sulla contrapposizione tra noi e loro, noi e i migranti, che lasci spazio alla suggestione terroristica, ovvero a un ragazzo con la cintura esplosiva dei kamikaze?
    Qui è possibile, anzi, qui accade, perché l’impegno civile non è militanza armata, non è integrazione - senza se e senza ma - con l’agenda politica alla mano, bensì impegno a dire dell’uomo, senza voli pindarici, senza celare il messaggio, ovvero il Verbo. E pazienza se si rischia il discorso troppo diretto, l’apologo morale, perché la lectio divina non è tradotta in lectio magistralis, bensì in lessico familiare, dialogo comunitario, esperanto spirituale: non la vita come il cinema, ma il cinema come la vita. Perché nella vita non ci sono né migranti né stanziali, ma solo uomini. E sono tutti di passaggio.
    Federico Pontiggia - Cinematografo
    [Modificato da maxis35 07/10/2011 09:00]