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Commento al Vangelo del 7 giugno
La Trinità è il cuore della fede cristiana
Ss. Trinità 
05.06.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


In questa domenica la Chiesa celebra il mistero che è il cuore della fede cristiana. Con i nostri fratelli ebrei e musulmani noi condividiamo la fede in un unico Dio - diciamo infatti all’inizio del Credo: “Credo in un solo Dio” - la fede cristiana professa che questo unico Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Più volte nel Corano, libro santo dell’Islam, si legge: “Non dite tre”, riaffermando così la fede in un Dio unico che non conosce la Trinità cristiana. E nell’evangelo di oggi si dice del Padre, di Gesù il Figlio e dello Spirito Santo. Quante volte Gesù si rivolge al Padre, quante volte Lui ripieno di Spirito Santo promette ai discepoli il suo Spirito. La riflessione teologica dei primi secoli cristiani meditando questa triplice presenza ha elaborato la dottrina trinitaria. Tentiamo, allora, di avvicinarci al mistero di un solo Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Ogni volta che tracciamo sul nostro corpo il segno della croce noi professiamo la fede in un solo Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo. Tento di esprimere così questa verità che è il cuore della nostra fede cristiana.

La relazione al centro

All’inizio di tutto sta una relazione di amore che è appunto il legame tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Non una individualità, una singolarità solitaria ma una relazione. Potremmo dire che la sorgente di tutto è una relazione, come la vita ha, al suo principio, una relazione di amore tra l’uomo e la donna così tutto ciò che esiste ha una origine che è un nodo, un vincolo, una relazione di amore. Possiamo dirlo con altre parole: Dio nel quale crediamo è una storia, una vicenda che si manifesta come Padre, come Figlio e come Spirito Santo.
Come Padre: cioè principio da cui tutto proviene. Dio Padre: lo chiamiamo con il nome che riserviamo a Colui dal quale abbiamo avuto la vita. Ogni volta che diciamo: “Nel nome del Padre…”, riconosciamo che della vita non siamo padroni, non ne disponiamo, l’abbiamo ricevuta e per questo dono dobbiamo avere ogni giorno sulle labbra solo la parola della gratitudine e del ringraziamento. E quando diciamo “Nel nome del Figlio…”, riconosciamo che questo Dio dal quale tutto ha avuto origine è entrato nella nostra storia umana, l’ha condivisa fin nel nostro soffrire e morire. Il Dio di Gesù Cristo non è né lontano né inaccessibile ma ha il volto di Gesù figlio di Maria di Nazareth, ha il volto di ogni uomo soprattutto dei più piccoli e deboli tra gli uomini. E infine quando diciamo “…e nel nome dello Spirito Santo” riconosciamo che questo Dio abita nell’intimo dei nostri cuori, suscita in noi la voce della preghiera, ci richiama sulla via del bene e del vero. Padre, Figlio e Spirito Santo sono così anche i momenti di una storia: la storia di Dio che ha tanto amato il mondo fino a dare il suo Figlio e diffondere nei nostri cuori il suo Spirito. Ogni volta che tracciamo il segno della croce ricordiamo questa storia incredibile, storia di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo, cioè mistero di relazione, vincolo, nodo di comunione.

Il volto di Dio

Ma, riconosciamolo, le nostre parole sono appena un maldestro tentativo di esprimere una realtà che ci sorpassa e che non possiamo comprendere, cioè afferrare e come rinchiudere nei nostri concetti e nelle nostre parole. Davvero felice la scelta della prima lettura: pagina suggestiva che esprime l’impossibilità per l’uomo di vedere il volto di Dio. La domanda accorata di Mosè è l’espressione di una fede profonda: Mosè, l’amico di Dio vorrebbe vedere in volto questo Dio che lo ha chiamato e costituito guida del suo popolo. Ma il volto di Dio non si può vedere, Dio nella sua identità non è afferrabile dall’uomo. Come Mosè così anche noi dobbiamo limitarci a vedere le spalle, la schiena di Dio. Deve bastarci questo indizio, senza la pretesa di disporre di Dio, senza la pretesa di rinchiuderlo nei nostri linguaggi, disperatamente inadeguati.