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Commento al Vangelo del 22 febbraio
Dimmi come preghi
e ti dirò chi sei
Ultima dopo l’Epifania
Lc 24,13b.36-48; Is 54,5-10; Rom 14,9-13; Lc 18,9-14
20.02.2009

di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano

Possiamo dare all’evangelo di questa domenica questo titolo, ripreso da un modo di dire corrente: Dimmi come preghi e ti dirò chi sei. In altri termini: l’assenza di preghiera o un certo modo di pregare svelano la nostra più profonda identità. Se vogliamo conoscerci nella nostra verità proviamo a esaminare se e come preghiamo. Certo, l’assenza di preghiera nella vita di una persona denuncia un progetto di vita centrato su di sé, chiuso nella propria autosufficienza. Aprire e chiudere la giornata con un momento di preghiera, magari scandire le ore del giorno con la preghiera della Chiesa, segnare il trascorrere del tempo non solo con criteri produttivi, utilitaristici, ma con i gesti e le parole della preghiera vuol dire riconsegnare a Dio il tempo come dono suo, affidato alla nostra libertà. E poi ci sono modi diversi di pregare che rinviano a modi di vivere diversi a tipi umani diversi.
E’ una parabola, quella di questa domenica, rivolta a coloro che presumendo d’esser giusti disprezzano gli altri. E’ un procedimento che troviamo altre volte in Luca: rovesciare il giudizio corrente, mostrare che chi si reputa o è reputato uomo giusto in verità è lontano da Dio e viceversa chi si considera ed è considerato un poco di buono è gradito a Dio. Qui abbiamo un fariseo. Già il termine “fariseo = separato” indica una pretesa di diversità, estraneità e superiorità rispetto alla massa che non segue scrupolosamente la Legge mosaica.

Il conflitto con i farisei

E’ il prototipo dell’uomo religioso che elenca i peccati che non commette e le opere buone che compie. Digiuna due volte e non una sola come prescritto dalla legge. Paga la decima su grano olio e vino facendo ciò che era prescritto al produttore, non al consumatore. Il fariseo esibisce le sue buone opere quasi vantando un credito nei confronti di Dio e ricavando dalle sue opere buone il diritto di giudicare gli altri: Ti ringrazio che non sono come gli altri uomini... Erano circa seimila i Farisei al tempo di Gesù. Era fariseo, figlio di farisei lo stesso Paolo (At 26,5), Nicodemo e Gamaliele che prese le difese dei cristiani (At 5,34). Eppure durissimo il conflitto di Gesù con i farisei. Per loro è la severa minaccia: Guai a voi... perchè vi curate di un’osservanza esteriore della legge trascurando l’interiore rinnovamento del cuore.
L’intero cap. 23 di Matteo è scandito sette volte da quel terribile: «Guai a voi scribi e farisei ipocriti... sepolcri imbiancati...». Il pubblicano, invece... il lavoro che il pubblicano svolgeva - raccogliere le imposte per conto dei Romani - portava a guardare queste persone con profondo disprezzo. Lavoravano per l’odiato nemico e approfittavano di tale ruolo per commettere ingiustizie. La preghiera del pubblicano, fatta stando a distanza e accompagnata da gesti di umiltà, esprime il riconoscimento della propria condizione di peccatore. La preghiera del pubblicano non è esibizione della propria giustizia - come nel caso del fariseo - ma affidamento umile alla misericordia di Dio «abbi pietà di me che sono peccatore».

L’amico dei pubblicani

Io vi dico... abbiamo qui una formula solenne che troviamo ripetutamente anche nel Discorso della Montagna: Ma io vi dico, amate i vostri nemici... (Lc 6,27). La formula solenne introduce il rovesciamento paradossale: il fariseo sicuro delle sue buone opere è respinto da Dio nonostante le sue proteste di “religiosità”. Il pubblicano invece, consapevole della sua indegnità, viene “giustificato”. Si realizza così quella parola di Gesù: «Io sono venuto per chiamare non i giusti ma i peccatori» (Lc 5,32). E infatti uno dei titoli che i contemporanei danno a Gesù è appunto: «Amico dei pubblicani e dei peccatori» (Lc7,34). Tra i pubblicani Gesù sceglie uno dei suoi discepoli, Matteo e si mette a tavola con lui e con «una folla di pubblicani» sollevando le critiche proprio dei farisei: «Perchè mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?» (Lc 5,27ss.).
Anzi Gesù accompagna questo agire davvero provocatorio con una parola altrettanto provocatoria: «In verità vi dico i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto» (Mt 21,31ss.). Notiamo:il termine pubblicano è accostato o a quello di peccatore o a quello di prostituta.
Sappiamo che la comunità cristiana delle origini è stata travagliata da questo problema: l’uomo è giustificato, cioè reso giusto e quindi salvato, dalle proprie opere, dal meticoloso adempimento degli obblighi della legge mosaica oppure l’uomo, ogni uomo, è salvato/giustificato dall’amore gratuito di Dio? Non illudiamoci di poter conquistare Dio con la forza delle nostre opere. Non possiamo fare nemmeno un passo verso di Lui se Lui, per primo, non viene incontro a noi. Davvero: Tutto è grazia.