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IL TEATRINO DELLA RELIGIONE

Ultimo Aggiornamento: 12/02/2009 15:01
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12/02/2009 15:01
 
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Cristo non si lascia ingannare dalle apparenze
Cristo non si lascia ingannare dalle apparenze
IL TEATRINO DELLA RELIGIONE [SM=g10025]
(Mt 6,1-18)
Professionisti del sacro
Dopo aver contrapposto alla dottrina di Mosè il suo insegnamento (“Ma io vi dico…”, Mt 5,22), Gesù passa alla critica della pratica religiosa che scribi e farisei pretendevano contrabbandare come espressione della volontà divina (Mt 15,3).

Le tre colonne che formavano la base della religiosità giudaica erano l’elemosina, la preghiera e il digiuno (Tb 12,8). Queste pratiche religiose venivano sostenute dagli scribi e eseguite scrupolosamente dai farisei che, con il loro stile di vita, ritenevano di essere di esempio al popolo.

Per Gesù, l’Uomo-Dio che si è fatto servo degli uomini, non l’esempio ma il servizio è l’atteggiamento che qualifica il credente (Mt 20,25-28). Nel dare l’esempio, l’individuo mostra le sue virtù affinché gli altri si sforzino di raggiungerle, e questo lo fa ritenere superiore
a quanti è di esempio (Lc 18,11-12).

Gesù insegna che le qualità e le virtù che uno possiede non vanno esibite, ma messe a servizio di quanti ne hanno bisogno. Mentre l’esempio mantiene la distanza tra chi lo da e chi lo riceve, il servizio elimina le distanze e rende uguali le persone.

Il desiderio di dare l’esempio può indurre l’individuo ad assumere modelli di comportamento religioso che non corrispondono alla sua vita, ma fanno parte del cliché dell’uomo pio.

Nel suo insegnamento Gesù demolisce questi modelli di religiosità esemplare e, senza mezzi termini, definisce ipocriti quelli che li praticano (Mt 6,2.5.16).
Per la prima volta compare nel vangelo di Matteo il termine ipocrita (gr. hypokritês) che l’evangelista impiega ben quattordici volte contro le tre in Luca e una sola volta di Marco. Con questo nome s’indicava colui che recitava una parte, cioè il commediante.Questa qualifica è sempre rivolta da Gesù agli scribi e ai farisei(Mt23,13-5)

Autentici professionisti del sacro,scribi e farisei,mediante ’esibizione della propria pietà, manifestavano il Mt 6,1-18 36 loro senso di superiorità sul resto del popolo,nell’insaziabile bisogno di ammirazione da parte della gente.

Ma il Cristo non si lascia ingannare dalle apparenze.
Per Gesù quanti elargiscono l’elemosina “per essere glorificati dagli uomini” non sono altro che dei commedianti (Mt 6,2).
Non c’è nulla di più osceno che pubblicizzare il bene che si fa.
L’elemosina, come ogni altra forma di aiuto interessato,se glorifica chi la fa, è sempre un’umiliazione per chi la riceve, e quando viene reclamizzata non serve ad altro che a edificare la propria reputazione di santità.
Quanti sfruttano il bisogno altrui per far conoscere al mondo quanto si è buoni e generosi non sono che dei commedianti che nell’ammirazione che suscitano hanno già ricevuto la loro ricompensa. Per Gesù costoro non solo non rendono culto al Signore, ma desiderando “essere glorificati dagli uomini” (Mt 6,2), si sostituiscono a Dio,dirottando su di essi la gloria che deve dirigersi unicamente al “Padre che è nei cieli” (Mt 5,16).
All’elemosina, pratica giudaica considerata degna di grandi meriti presso Dio (Tb 4,11; Pr 19,17), Gesù contrappone la condivisione dei beni (Mt 19,21).
Mentre dare l’elemosina significa mantenere una distanza e una dipendenza tra chi la fa e chi la riceve, la condivisione annulla questa distanza e instaura un rapporto tra pari: ai poveri non c’è da dare cose, ma tutto se stessi (Mt 14,13-21).
Quando si ama veramente si desidera che l’altro abbia le stesse cose che uno possiede e questo non è possibile con l’elemosina, ma solo con la condivisione di quel che si è e si ha.

Nell’attesa che la comunità di Matteo giunga alla piena comprensione e accettazione del messaggio di Gesù, passando dalla pratica giudaica dell’elemosina a quella cristiana della condivisione (Mt 5,3), l’evangelista invita alla massima discrezione nel fare l’elemosina (Mt 6,3-4).Mt 6,1-18 37

Attrazione fatale
Al centro della presa di posizione di Gesù sulle tre pratiche religiose giudaiche, Matteo colloca la più importante:la preghiera.
Come ha già fatto per l’elemosina, Gesù ridicolizza quanti vogliono che la loro devozione sia conosciuta per ottenere l’ammirazione da parte degli uomini.

Un detto rabbinico affermava che “al mondo ci sono dieci porzioni di ipocrisia: nove si trovano a Gerusalemme” (Esther Rabbà. I, 3-85b). La concentrazione di tanta ipocrisia a Gerusalemme si doveva al fatto che nella città santa c’era il Tempio del Signore.

Il Tempio, che il Signore non aveva voluto (2 Sam 7,5-7), era stato costruito da Salomone come piedistallo alla sua sfrenata megalomania (1 Re 6), mettendo ai lavori forzati trentamila persone “da tutto Israele” (1 Re 5,27). Bruciato dai Babilonesi (2 Re 25,8-17) e parzialmente ricostruito all’epoca di Esdra (Esd 3), con Erode il
Grande il Tempio aveva acquistato nuovo splendore ed era lo spazio religioso più imponente dell’antichità.

Per Gesù il tempio di Gerusalemme, come ogni spazio considerato sacro, era tutta apparenza e poca sostanza,come il fico tutto foglie e senza frutti (Mt 21,19).

Ma i luoghi sacri suscitano un’attrazione fatale per le persone pie, che li utilizzano come teatri nei quali poter esibire la loro devozione. Per questo, dovendo indicare ai suoi discepoli il luogo più appropriato per la preghiera, Gesù esclude i luoghi di culto (Gv 4,23) che l’istituzione religiosa ha reso refrattari e impenetrabili allo Spirito del Signore e consiglia invece di pregare nella parte più nascosta della casa: la grotta che serviva da dispensa (Mt6,6).
Gesù, che l’evangelista presenta in preghiera unicamente due volte (Mt 14,23; 26,36), dà ai suoi discepoli anche alcune indicazioni su come pregare.

La preghiera per Gesù è espressione della fiducia nel Padre.
Più grande è la fede nel Signore e meno la preghiera ha bisogno di formule e di parole. Al contrario, meno si ha fede, più si ha bisogno di parole. Mt 6,1-18 38

Quanti credono di esprimere la loro fede o la loro devozione moltiplicando le parole della preghiera, Gesù li accomuna ai pagani idolatri. Quelle lunghe preghiere che agli occhi della gente appaiono come alto esempio di devozione,per Gesù sono come lo sproloquio dei pagani:
“Pregando poi, non blaterate come i pagani, i quali credono di venire ascoltati moltiplicando le parole” (Mt 6,7;Is 1,15).
Le parole di Gesù dovevano ricordare agli ascoltatori un conosciuto episodio narrato nel Primo Libro dei Re, dove Elia si prende gioco dei profeti di Baal e delle loro preghiere che rimanevano inesaudite: “Gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato,si sveglierà” (1 Re 18,27).

Gesù constata che molti si rivolgono al Signore esattamente come i pagani ai loro dèi, credendo che sia necessario ricordare al Signore quel che deve fare (“Ricordati del popolo che ti sei acquistato…”, Sal 74,2.18), gridando le loro richieste a una divinità sorda e insensibile (“A te grido, Signore, mia roccia, non essere sordo alla
mia voce”, Sal 28,1; 86,3).

Nella loro presunzione gli uomini, forse ritenendosi più misericordiosi del loro Dio, cercano di convincere il Signore a mostrarsi come loro altrettanto misericordioso e clemente (“Sii misericordioso con essi, o Signore, e proteggili!”,Tb 8,17).

Ma per Gesù “il Padre vostro sa di quali cose avete
bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6,8). Il fatto che il Padre sappia ciò di cui gli uomini hanno bisogno,rende inutile ogni richiesta.

Quando c’è la certezza che il Padre sa, e l’esperienza insegna che il Signore tutto trasforma in bene (Rm 8,28) e si prende cura anche degli aspetti minimi o insignificanti della vita (Mt 10,30-31), non c’è bisogno né di chiedere né tantomeno d’informare, ma trasformare la
fiducia in lui in un continuo ringraziamento (Mt 11,25).Mt 6,1-18 39
Superstizione e digiuno Per ultimo Gesù tratta del digiuno devozionale,pratica che distingueva i farisei e le persone pie dal resto del popolo (Mt 9,14).

Il digiuno nasce nel mondo greco come frutto della superstizione: si credeva che in caso di lutto i dèmoni,che avevano causato la morte, potessero avere potere sui parenti del defunto mentre questi mangiavano.
Pertanto si digiunava durante la veglia funebre fintanto che l’anima del trapassato era nelle vicinanze, perché c’era sempre il pericolo di un’infezione demoniaca.
Gli Ebrei ereditarono questa pratica dal culto cananaico dei morti, ma la limitarono a un solo giorno l’anno,quello dell’espiazione dei peccati di tutto il popolo (Lv 23,32).

Nonostante fosse continuamente avversata dai profeti (Is 58,4-7; Ger 14,12), la pratica del digiuno era diventata il segno distintivo dei Giudei che digiunavano facoltativamente due giorni la settimana, il giovedì e il lunedì, in ricordo della salita e della discesa di Mosè dal Sinai.

Per Gesù quelli che digiunano sono commedianti che si sfigurano per figurare (Mt 6,16) agli occhi della gente e del Signore (“Perché digiunare, se tu non lo vedi?”,Is 58,3). In sintonia con i profeti, Gesù insegna che il Padre non chiede ai suoi figli di digiunare, ma di “dividere il pane con l’affamato” (Is 58,7; Mt 25,35).
Il Figlio di Dio si fa pane per gli uomini (Mt 26,26) perché quanti lo accolgono e si fanno pane per gli altri,diventino anch’essi figli dell’unico Padre.

La pienezza di vita che il Padre comunica loro è incompatibile
con ogni forma di mortificazione, per questo Gesù non ha mai praticato il digiuno devozionale e mai ha invitato i suoi discepoli a farlo (Mt 9,15)1. Mentre 1 La grande fortuna che la pratica del digiuno ha avuto in certa spiritualità cristiana non si deve all’insegnamento di Gesù ma all’aggiunta che un anonimo copista, nei primi secoli, appose al vangelo di Marco. Alla dichiarazione di Gesù “Questa specie [di demòni] non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera” (Mc 9,29) aggiunse “e con il digiuno”.

Non solo: l’intero versetto, così manipolato venne inserito nel
Vangelo di Matteo dopo il versetto 20 del capitolo 17.Mt 6,1-18 40 Matteo toglie ogni visibilità a queste pratiche giudaiche della sua comunità relegandole nella sfera interiore del credente, nel Vangelo di Tommaso le tre colonne della spiritualità ebraica saranno drasticamente abbattute: “Se digiunate genererete un peccato; se pregate sarete condannati; se date elemosina nuocerete ai vostri spiriti” (14), riecheggiando la denuncia dei profeti sull’inutilità e nocività delle pratiche religiose:Che m' importa dell' abbondanza dei vostri sacrifici?,dice il Signore.
Sono sazio degli olocausti degli arieti e del grasso dei vitelli.
Il sangue dei tori, degli agnelli e dei capri io non lo gradisco.
Quando venite a presentarvi davanti a me,chi richiede da voi che calpestiate i miei atri?

Cessate di portare offerte inutili, l' incenso è per me un' abominazione,noviluni, sabati, assemblee sacre,non sopporto iniquità e feste solenni.

L'anima mia odia i vostri noviluni e le vostre solennità;
esse sono per me un peso,sono stanco di sopportarle.

Quando tendete le vostre mani,io chiudo i miei occhi davanti a voi.
Anche quando moltiplicate le preghiere,io non ascolto,
(Isaia 1,11-15)
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