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Singolare

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2009 13:33
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02/02/2009 13:33
 
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1 Febbraio 2009
Singolare perentorietà del presidente della Corte d'appello di Milano
Proprio una bella domanda.
Chi ha invaso le competenze altrui?
La Corte d’Appello di Milano «non ha invaso territori altrui». La pe­rentoria affermazione è del suo pre­sidente, Giuseppe Grechi, che ieri, i­naugurando l’anno giudiziario nel di­stretto meneghino, ha difeso a spada tratta il decreto del 25 giungo 2008, con il quale veniva dato via libera al­l’abbandono di Eluana Englaro al suo destino di morte per fame e sete. Un giudizio che appare in palese con­traddizione con quello espresso mer­coledì scorso dal presidente della Cor­te Costituzionale, Giovanni Maria Flick, che riferendosi alla vicenda nel suo complesso ha parlato esplicita­mente di un caso di «supplenza giu­diziaria ».

Con la sua frase auto-assolutoria, l’al­to magistrato sorvola anche su quel­la specie di 'protocollo' che la prima Sezione civile della stessa Corte ha sti­lato in coda alla sua decisione: ci rife­riamo alle «disposizioni accessorie cui attenersi in fase attuativa» - così ven­gono definite - che vanno dall’indica­zione del luogo dove avviare la so­spensione del sostegno vitale («ho­spice o altro luogo di ricovero confa­cente »), all’eventuale somministra­zione di «sedativi o antiepilettici», all’«accudimento accompagnatorio della persona» di Eluana, che com­prenderebbe l’«umidificazione fre­quente delle mucose», la «cura dell’i­giene del corpo e dell’abbigliamento, ecc.». Un vero e proprio 'disciplina­re' esecutivo per i 15-20 giorni di a­gonia prevedibili che, con ogni evi­denza, non è facile considerare tra le competenze tipiche di un giudice. Ma il dottor Grechi non si è limitato a sancire che i suoi colleghi hanno fatto, in definitiva, 'il loro mestiere'. Tesi per altro di nuovo contraddetta ieri dagli Ordini dei medici di Milano e Bologna, che denunciano il rischio di dar vita a una nuova categoria ­quella del 'medico per sentenza', ri­dotto a mero esecutore di «volontà sanitarie altrui» - rifiutandolo netta­mente. Grechi ha invece ribadito an­che il dovere del magistrato a dare sempre una risposta al cittadino, «per quanto nuova o difficile sia la do­manda di giustizia che gli viene ri­volta».

Ed ha infine ammonito il po­tere legislativo (Parlamento) e quel­lo esecutivo (governo, regioni ed en­ti locali) a non «porre nel nulla le sen­tenze definitive», perché in base alla Costituzione «un potere non può in­terferire in un altro». Ebbene, sul primo punto, fior di giu­risti hanno più volte contestato la for­zatura compiuta fin dall’inizio, a­vendo consentito il ricorso alla pro­cedura di 'volontaria giurisdizione', usata di norma per curare e regolare beni e interessi privati, ma in questo caso estesa anche alla disponibilità del bene personale per eccellenza, quello della vita. Né può bastare, co­me fa il magistrato milanese, chia­mare in causa, a conferma della cor­rettezza della strada intrapresa, la Cassazione, la Consulta e la Corte eu­ropea dei diritti umani. Perché è ben noto (ma non al grande pubblico, purtroppo), che questi organismi non sono minimamente entrati nel merito della decisione, apprezzan­done solo gli aspetti tecnico-proce­durali (ancora Flick docet).

Quanto all’invito a chi fa le leggi e a chi le attua a non mettere i bastoni fra le ruote, tanto per tradurre in linguaggio corrente l’invito del presidente della Corte d’Appello, va spesa ancora qual­che parola. Proprio il rigoroso «anco­raggio ai principi della Costituzione» da lui invocato, ci aiuta a ricordare che, nel nostro sistema, la sovranità in ul­tima istanza appartiene al popolo, il quale la esercita di regola negli orga­nismi legislativi a ciò deputati. Nessun dubbio dunque che le Camere, pur non potendo più intromettersi in un decreto volto ad attribuire una facoltà riconosciuta a un singolo (staccare il sondino ad Eluana), possono sempre intervenire per regolare i contenuti delle sentenze (per esempio stabilen­do che alimentazione e idratazione non sono terapie mediche disponibi­li) ed anche per disciplinare i com­portamenti degli attori estranei alle parti in causa (pensiamo appunto al personale sanitario coinvolto nell’e­secuzione del decreto in questione).

In definitiva, non è qui in discussione la buona fede e le stesse buone in­tenzioni di chi difende il proprio ope­rato. Non sembra però accettabile teo­rizzare, come ormai sempre più spes­so accade di ascoltare anche in sede politica, una presunta superiorità e­tica 'a priori' degli operatori della giu­stizia e delle loro scelte, che finirebbe davvero per intaccare, essa sì, il prin­cipio irrinunciabile della separazione dei poteri.
Gianfranco Marcelli
 da: Avvenire
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